sabato 5 aprile 2014

amarcord: "Gente Vana" la fanza della curva




GENTE VANA LA FANZA DELLA CURVA
Cose a caso n.6 del 14-01-01 Siena-Cittadella, di Simone Taddei

Nel viaggio di andata verso il Luigi Ferraris di Genova, in un pullman ormai saturo  sia di vapori alcolici che di vapori sudoriferi -ascelle, ani e piedi- è stata espressa da uno dei 54 pellegrini presenti, una delle frasi che più mi ha fatto riflettere negli ultimi anni, “è una vita che sguazzo nel vomito!”.
Ad un’attenta analisi, essa risulta come un’affermazione di una consapevolezza estrema, ma che sintetizza lucidamente gli ideali di un ragazzo come tanti, cresciuto nei gradoni del Rastrello e ormai avviato alla piena maturazione.
Intervistarlo poi è stato un piacere tutto particolare, perché sia nella dialettica che nella gestualità dimostra di essere non un individuo normale, ma una mina vagante vera e propria, capace di iniziare fino a dieci discorsi completamente scollegati fra di loro e di non portarne a termine nemmeno uno.
A quale età hai cominciato?
Credo sia stato intorno agli undici anni, in contrada, sai quando  vuoi fare il grande, metti in bocca le prime sigarette (Kim), dai qualche gotto più sostanzioso e poi accentui la sbornia per farti notare, fai finta di sorreggerti male in piedi, caschi  in terra spesso,  ridi con entusiasmo smodato, insomma cerchi di entrare più velocemente possibile nel mondo dei mongoloidi.
E poi?
Poi inizia a piacerti sul serio, ti senti molto più disinibito, io in particolar modo adoro il nudismo, altri diventano in un nano-secondo amici fraterni di tutti, altri s’incazzano per una spallata. Si crea in definitiva un microcosmo di comportamenti che più risultano idioti e più ti piacciono.
Un episodio?
Una serata normale, mi lustro come un ginocchio  fuori da un lenzuolo, poi caldo come un termosifone delle Scotte in inverno, salgo in macchina, da solo, per tornare a casa. Chiaramente dopo pochi km. di strada  sento la vescica gonfia  al pari di una canottiera di Platinette, e mi fermo per assolvere ai miei giusti doveri fisiologici.
Finito di irrigare, risalgo in  auto con  i pantaloni sbottonati e le mutande all’altezza del menisco, e riprendo lo slalom per raggiungere più presto possibile il letto, ma dopo una serie di curve a gomito, è direttamente lo stomaco ad intimarmi la seconda sosta.
Mi fermo in mezzo alla carreggiata, apro lo sportello e rimetto per metà sull’asfalto e per metà dentro il vano porta -oggetti dello sportello, dopodiché sfinito, come uno che ha montato le catene la mattina alle sette, mi addormento praticamente con il sedere sul sedile, e la testa sulla linea di mezzeria della strada.
Qualche  automobilista presumo più impietosito che altro, probabilmente telefona ai carabinieri, i quali al loro arrivo mi svegliano bruscamente chiedendomi di esibire i documenti.  Rincoglionito mi alzo di scatto e rimango miseramente nudo dalla maglietta in giù.
Quindi?
Ti ripeto, è una vita che sono circondato dal vomito, cioè da quando neonato rigurgitavo gli omogeneizzati, fino ad oggi che sono cresciuto e che continuo imperterrito a correggere tutto quello che mi appare analcolico.
Le chiacchiere scorrono veloci, si parla e si ripensa ai fatti di vita vissuta ma soprattutto bevuta, mentre girano come pallottole, bocce da cinque litri di vino rosso del Penny, vinsanto del nonno sicuramente più cattivo del Be-Total, liquori vari e pinzimonio, mentre lo stadio ormai si avvicina.
 Tra poco un’altra compagnia di paralizzati celebrali assisterà all’ennesima partita della Robur.
E come ha detto Spago sorseggiando un bicchiere di acqua minerale:” e un mi piace, un c’è niente da fa’”.

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