lunedì 8 marzo 2021

Il monopattino della Lamborghini

Acquistò quel monopattino unicamente per fare lo sborone, il foloso. Una vera e propria bomba di ingegneria. Motore eco-green elettrico con batterie minuscole di concime disidratato da 74 omega3. Autonomia, a velocità costante, di tre anni luce. Telaio, particolarmente adatto alle sollecitazioni urbane, realizzato con una monoscocca di sambuco, lievito madre e colesterolo buono. Ruote ellittiche in mescola di gres porcellanato e juta di Calcutta, garantite, ben tredici anni bisestili, contro forature e rattoppi. Il mezzo, particolarmente maneggevole nella guida, raggiungeva, lanciato, su di una lastra di lavagna perfettamente piatta, lunga 333,33 metri e larga 15,7 centimetri, preventivamente levigata con carta vetrata finissima e dentifricio sbiancante con microgranuli di arenaria, la stupefacente velocità massima di 175 km/h. Il solo difetto, se di questo termine si poteva parlare, consisteva nella bazzecola che il bolide non era provvisto di freni. La postilla era scritta, in caratteri cirillici in un angolo del libretto di istruzioni e raccomandava, vivamente, al conducente di indossare sempre scarpe con para particolarmente alta e robusta, per permettere il rallentamento con la pressione spropositata del tallone su suolo. Ignaro di tutto questo, inforcò il mezzo ed appena uscito dal rivenditore, iniziò a girare senza sosta per la città, solo per farsi notare. Dopo una settimana di scorribande ininterrotte e, soprattutto, di divieti stradali non rispettati, giocoforza, accadde l’inevitabile. Percorrendo un vicolo in controsenso a manetta, investì una povera signora che tornava da un’operazione ambulatoriale alle cateratte, la quale cadde subitamente in un coma esagerato. Illeso, fuggì senza alcuno scrupolo, ma venne intercettato da una pattuglia dei Carabinieri. Braccato da vicino, decise di tentare il tutto per tutto. Senza indugio imboccò la famosa strada in discesa, soprannominata la “Spinale direttissima di Madonna di Campiglio”, di lunghezza 2,4 chilometri e dislivello 600 metri. Dopo il primo tratto, oltrepassata la curva del feretro, non era già più visibile ad occhio umano. Tentò disperatamente di frenare con le scarpe, ma il destino volle che, purtroppo, quel giorno indossasse dei mocassini scamosciati, i quali, a causa dell’altissima temperatura di sfregamento, si fusero immediatamente. Di lui, comunque, ancora oggi rimane la sindone, sul muro di cinta della caserma dei Vigili del Fuoco, posta in angolo al termine della via in discesa.

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